da Scritti sociali e politici vol. II a cura di Maurizio Ceste ediz. Rubettino.

Discorso pronunciato all’apertura del corso di diritto commerciale Lione 16 dicembre 1839

La libertà politica, come la libertà morale consiste non nell’assenza, ma nell’intelligenza della legge.

Se l’uomo è libero, è perché, invece di subire a sua insaputa l’impulso fatale di una forza esteriore, determina spontaneamente se stesso alla luce di una legge che egli racchiude in sé e che chiama coscienza.

Lo stesso per i popoli: schiavi, finché consegnati al potere assoluto di un sovrano del quale nessuno può prevedere né fuggire i tempestosi i capricci, recuperano la loro giusta indipendenza non appena le volontà individuali si trovano illuminate sulle conseguenze dei loro atti da una legislazione da tutti conosciuto e che è, per così dire, la coscienza della società.

Così, in tutte le epoche che non siano state barbare, il diritto rivestì un carattere pubblico per acquisire un valore obbligatorio; la promulgazione si fece manifesta, e venne interdetta la retroattività.

Ma la responsabilità dei cittadini si estese nella stessa misura e fu posto l’assioma sul quale riposa tutta l’economia della giustizia sociale: “A nessuno è permesso di ignorare la legge“.
Già lo avevano compreso le più illustri nazioni dell’antichità.

Mentre i monarchi di Susa e di Babilonia si avvolgevano in gelosi misteri nel fondo dei loro palazzi, in Israele i libri di Mosé venivano letti una volta all’anno sotto il tetto di ciascun padre di famiglia.

Ogni anno, il primo arconte di Atene affiggeva sotto I portici dell’agorà i decreti che dovevano regolamentare i giudizi.

Il popolo romano assalì allungo i Patrizi per strappare la loro conoscenza del diritto, del quale avevano tenuto per sé i segreti ereditari; e le leggi 10 virali, incise su 12 tavole di quercia, esposte nella tumultuosa sala del foro, furono i primi trofei della nascente libertà.

Più tardi, l’editto annuale del pretore veniva anche il suo tracciato su una tavola accessibile a ogni sguardo.infine, all’epoca di Cicerone, lo studio dei testi legislativi e entrava nell’istruzione elementare della gioventù istruita.

Roma aveva meravigliosamente intuito che L’autorità della sua giurisprudenza avrebbe eguagliato quella delle sue armi, e che, se un giorno i suoi figli avessero cessato di regnare con la spada, sarebbero stati ancora padroni del mondo attraverso quella pacifica scienza che portarono fra le pieghe della toga: romano Rerum Dominos gentemque togatam (I romani, padroni del mondo, il popolo che indossa la toga).

da scritti sociali e politici volume secondo a cura di Maurizio Ceste ediz. Rubettino.

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